giulietta e romeo pupazzi teatro figura adulti

ROMEO UND JULIA

PRODUZIONE: Oltreilponte Teatro in collaborazione con l’Internationales Figurentheaterfestival di Wels (Austria) e l’Istituto per i Beni Marionettistici e il Teatro Popolare (Torino)
IDEAZIONE, DRAMMATURGIA E REGIA: Beppe Rizzo
ASSISTENTE ALLA REGIA: Silvia Corsi
IDEAZIONE PUPAZZI: Andrea Rugolo
REALIZZAZIONE PUPAZZI: Barbara Chiarilli
CON: Violaine Steinmann, Gerti Tröbinger, Manfredi Siragusa, Beppe Rizzo
GENERE: Teatro senza parole, d’attore e figure animate a vista
PUBBLICO: Adulti
DEBUTTO NAZIONALE:
maggio 2006, XXXI° Festival Internzaionale “Arrivano dal Mare!”, Cervia (Ravenna)
DEBUTTO INTERNAZIONALE:
marzo 2006, XV° Internationales Figurentheaterfestival di Wels, Austria

Romeo Montecchi e Giulietta Capuleti, due giovani che appartengono a famiglie rivali di Verona, si innamorano perdutamente al punto da sposarsi in segreto. Ma Romeo viene condannato all’esilio per aver ucciso un Capuleti, e Giulietta, per sfuggire al matrimonio imposto dai genitori con un altro, beve un narcotico che le causa una morte apparente. Romeo, non informato dello stratagemma, alla notizia della morte ritorna e si avvelena sulla tomba dell’amata. Quando Giulietta si sveglia, vede il corpo esanime di Romeo morto e si uccide. Questo è il sunto della tragica vicenda shakespeariana. Questa invece la domanda da cui siamo partiti: se oltre al conflitto orizzontale, quello che coinvolge le due famiglie, se ne inserisse un altro, verticale, in grado di provocare il continuo scontro tra padri e figli? Se l’ostilità si estendesse anche al rapporto che Romeo ha con suo padre e Giulietta con sua madre? I genitori, maschere e meccanismi di un sistema sclerotizzato e aggressivo, imporrebbero ai figli il loro modello educativo fondato sulla violenza, fisica e psicologica, obbligandoli a indossare una maschera, che nasconde lo sguardo e i pensieri, affinché i giovani discendenti, un giorno, possano divenire come loro, per insegnare ai figli dei figli l’odio e ancora l’odio reciproco.

Dunque non più, solo, una storia d’amore, ma un’indagine sui rapporti generazionali. Giulietta e Romeo, fanciulli-adolescenti-ribelli, non sentono di condividere i principi che muovono i loro genitori e che regolano il sistema dentro cui si trovano a crescere. Disubbidiscono perché il loro istinto non conforme glielo impone. E allora, solo allora, si incontrano, esaltando a vicenda la loro solitudine, l’estraneità da ciò che li circonda. Sono animati da un’inconsapevole forza, semplice e irruente, talvolta oscura e cinica, che fa di loro creature erotiche, poetiche e spietate al tempo stesso. Scoprono d’amarsi, senza compromessi e fuori dalle regole. Un’incoscienza che si trasforma, forse, in desiderio di morte, unica alternativa per sfuggire alla certezza di trasformarsi, prima o poi, in ciò contro cui, ora, ci si ribella. E l’esito tragico diviene quasi un monito, un avvertimento per coloro che assistono al rapido svolgersi degli eventi.

La scelta di compiere questo percorso, che abbraccia e al tempo stesso prende le distanze da Shakespeare, si compie assieme alla decisione di non utilizzare il teatro di parola, di eliminare la componente testuale per potenziare il tratto semplice e universale del disegno narrativo. Anche la scelta di utilizzare le figure e i pupazzi, nonché la loro tipologia, è volta a sottolineare in modo straniante e stilizzato il contrasto tra i due giovani e il mondo che lo circonda, dando ai quattro attori, che intrecciano a vista la tela degli eventi, la possibilità ora di entrare ora di uscire da quel mondo, indicandone i protagonisti, senza assumersi il compito di rappresentarne in prima persona le passioni. E, nel far ciò, intervengono e contemplano, con l’amara e shakesperiana consapevolezza di “esporre su un indegno palchetto di tavole un così alto argomento”.

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