BALLATA PER WOYZECK

Tramelogedia per un attore, un burattinaio e tre musici

PRODUZIONE: Oltreilponte Teatro in collaborazione con la compagnia “Il Barrrito degli Angeli” (Torino)
IDEAZIONE, DRAMMATURGIA E MUSICHE: Beppe Rizzo
BURATTINI E SCENOGRAFIE: Andrea Rugolo
COSTUMI: Lorella Castelli
MUSICHE ESEGUITE DAL VIVO DA: Alberto Rumiano (clarinetto), Jino Touche (contrabbasso), Marco Ambrosio (fisarmonica)
CON: Marco Gobetti (Woyzeck), Beppe Rizzo (burattinaio)
GENERE: Teatro d’attore e di figure animate a vista. Musiche originali dal vivo
PUBBLICO: Adulti
DEBUTTO NAZIONALE:
maggio 2002, Teatro Juvarra, Torino
DEBUTTO INTERNAZIONALE:
marzo 2003, XII° Internationales Figurentheaterfestival di Wels, Austria

La storia

A Lipsia, nel 1821, un barbiere dell’esercito, certo Johann Christian Woyzeck, aveva ucciso l’amante a coltellate sostenendo di aver avuto l’ordine e l’arma da misteriosi demoni. Venne subito condannato e decapitato. Qualche anno dopo, nel 1836, un ragazzo poco più che ventitreenne di nome George Büchner (poeta, scienziato e rivoluzionario, che morirà poco prima di compierne ventiquattro), si ispira agli atti di quel processo per concepire un dramma, che rimarrà incompiuto, dal titolo appunto Woyzeck. La figura a cui Büchner dà forma è quella del soldato Franz Woyzeck, primo proletario nella storia del teatro, appartenente al popolo dei diseredati e relegato ai margini della società, scarso di cervello e debole di carattere; uomo perseguitato da voci e visioni che lo terrorizzano e gli fanno apparire il mondo, nel quale vive alienato, governato da misteriose forze occulte. A questa mistica ingenuità fa da contrappeso una rassegnazione malinconica entro cui si culla una bontà attonita che lo fa zimbello del destino e della spietatezza del prossimo. La miseria e l’indigenza lo spingono infatti a prestarsi a vari servizi: per dar di che vivere a Marie, donna con la quale vive, e al figlioletto non battezzato, accetta di fare da barbiere al Capitano, che tenta di educarlo con discorsi sulla morale e sulla virtù, e si sottopone agli esperimenti scientifici del Dottore che, per pochi soldi al giorno, lo obbliga a dominare il proprio bisogno di urinare e in più lo sottopone a una dieta a base di piselli che lo debilita completamente. Suo unico amico e compagno è Andres, un commilitone che naturalmente non lo capisce. Le assenze di Woyzeck incoraggiano Marie, che è la sua compagna ma non sua moglie, a distrarsi: incontra il Tamburo Maggiore, un bellimbusto che prende a corteggiarla finché la donna cede alle sue lusinghe. Woyzeck sorprende i due ballare all’osteria. Da qui si deposita nel suo cuore un lento, incontenibile, esplosivo impulso omicida che suona come l’irrazionale appello di un ancestrale rito di espiazione e purificazione. In uno stato quasi di sonnambulismo egli porta Marie nei pressi di uno stagno appena fuori dell’abitato e la accoltella. Obbedendo al richiamo di una demoniaca magia l’omicida torna allo stagno in cui ha gettato l’arma del delitto per lasciarsi, forse, affogare.

Note di realizzazione

Nella Ballata per Woyzeck il teatro d’attore, di figura e musicale si fondono per sfruttare al meglio le potenzialità semantiche di un’opera che è dramma politico, sociale, d’amore e di follia assieme. La tecnica dell’animazione dei pupazzi, per abitudine identificati col solo teatro per ragazzi, diventa qui – in uno spettacolo che è rivolto soprattutto, ma non esclusivamente, ad un pubblico adulto – scelta drammaturgica precisa, volta a manifestare in modo straniante e stilizzato il contrasto tra Woyzeck e il mondo che lo circonda. Il burattinaio modifica lo spazio scenico e le coordinate dell’azione spingendo due banchi neri, dai quali estrae, anima e dà voce ai burattini, per poi tornare a nasconderli, predisponendoli al divenire dell’intreccio. Lo stupore iniziale di Woyzeck, costretto a parlare ed agire in un mondo di pupazzi, si trasforma progressivamente in smarrimento e tragicomica alienazione, esito inevitabile del macchinare crudele che, circondandolo, ne ingabbia e trita ogni sentimento e volontà; i musicisti, intervenendo con puntualità irridente a scandire, quadro dopo quadro, il tempo che fugge inesorabile, concludono ad oltranza l’azione del burattinaio e stimolano con regolarità quasi meccanicistica lo scivolare di Woyzeck nel dramma della follia. A Franz Woyzeck, vittima di un gioco impietoso che assurge a simbolo di ogni sfruttamento, non resta che brancolare nella luce accecante delle proprie visioni, fra una tinozza rovesciata e una valigia, che da unici ed immobili elementi scenografici diventeranno molla forzata e grottesca della tragedia che si compie. La Ballata per Woyzeck rappresenta con sinistra e spietata ironia un’esistenza “altra”, in cui il nostro protagonista si muove come un pinocchio alla rovescia, uomo in mezzo a burattini, e su cui grava sin dall’inizio la condanna a morte di un destino tragicomico, che si completa solo dopo una progressione di deliri musicalmente scanditi. Un gioco in cui la compassione del boia-burattinaio verso il condannato non si compie, in cui la componente musicale non entra nel dramma ma cadenza il passo di un goffo e bizzarro corteo funebre. Quello di Woyzeck è un viaggio di solitudine, di disagio nei confronti di tutto l’apparato della società, politico e scientifico, sociale e personale. Egli, nel suo inconsapevole percorso attraverso la follia, si porta appresso un marchio, un fardello che già contiene il seme della sua disfatta: l’anti-eroe Woyzeck non può andare in nessun’altra direzione perché il congegno che lo muove, da cui affiorano maschere e convenzioni sociali crudeli e irridenti, è implacabile, inarrestabile, ciclico. La Ballata per Woyzeck svela l’amara beffa di quell’angoscia d’esistere che, girando su se stessa, continuamente si rigenera.

C’era una volta un povero bambino e non aveva papà e non aveva mamma, erano tutti morti e non c’era più nessuno al mondo. Tutti morti, allora lui è partito e ha cercato giorno e notte. E siccome sulla terra non c’era più nessuno, ha voluto andare in cielo: c’era la luna che lo guardava così buona; e quando finalmente era arrivato alla luna, quella era un pezzo di legno marcio. E allora è andato al sole e quando era arrivato al sole, quello era un girasole appassito. E quando arrivò alle stelle, erano dei moschini d’oro trafitti, come quelli che l’averla infila sulle spine del prugnolo. E come lui voleva tornare sulla terra, anche la terra era una pentola capovolta. E lui era solo solo. E allora si è seduto e si è messo a piangere, ed è ancora là seduto solo, solo. (G. Büchner, fiaba della nonna al figlio di Woyzeck).

 

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